IL TRIBUNALE
   Il giudice dott. Guido Piffer,
   Premesso che nell'ambito del proc. pen. n. 3967/98 r.g. g.i.p.   il
 p.m.,  con  atto  depositato  in data 27 novembre 1998, ha chiesto il
 rinvio a giudizio di Mario Magrini, imputato del reato (capo F  della
 richiesta  di  rinvio  a  giudizio)  "p. e p. dall'art. 378 c.p.  per
 avere, dopo che fu  commesso  il  delitto  di  rapina,  sequestro  di
 persona,  lesioni  e violenza privata da parte dell'ispettore di p.s.
 Vernini  Marco  in  danno  di  Rignanese   Fabio   nei   locali   del
 Commissariato  di  p.s.  di  Porta  Genova  il 7 agosto 1998, aiutato
 Vernini Marco ad eludere le  investigazioni  dell'Autorita',  negando
 nel corso della sua deposizione alla Squadra Mobile di Milano in data
 5  settembre  1998  circostanze  fondamentali  per l'accertamento dei
 fatti e affermando il falso, dopo essersi accordato in tal senso  con
 Vernini stesso, nonche' reiterando tali dichiarazioni al p.m. in data
 7 settembre 1998. In Milano nelle date sopraindicate";
   Premesso  che  all'udienza  preliminare  in  data  22 dicembre 1998
 l'imputato Magrini ha chiesto il giudizio abbreviato,  in  ordine  al
 quale  il  p.m.  ha  prestato  il consenso, onde e' stata disposta la
 separazione della posizione dell'imputato e l'udienza  nei  confronti
 dello stesso e' stata rinviata al 12 gennaio 1999;
   Premesso  che all'udienza in data 12 gennaio 1999 questo giudice ha
 ammesso l'imputato al giudizio abbreviato e  in  via  preliminare  le
 parti   hanno  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 376 c.p. per violazione degli artt. 3,  primo  comma  e  24
 secondo  comma, Cost. nella parte in cui non prevede l'applicabilita'
 della  esimente  della  ritrattazione  al  reato  di  favoreggiamento
 personale  di  cui  all'art.  378 c.p. commesso con false o reticenti
 dichiarazioni alla polizia giudiziaria;
   Ritenuto  che  deve  essere  sollevata  questione  di  legittimita'
 costituzionale, in relazione all'art. 3 Cost., dell'art. 376, comma 1
 c.p.,  nella parte in cui non prevede l'applicabilita' della causa di
 non punibilita' della ritrattazione, in esso disciplinata,  al  reato
 di  favoreggiamento personale di cui all'art. 378 c.p., allorche' - e
 limitatamente al caso in cui - esso sia realizzato mediante  false  o
 reticenti  dichiarazioni  alla polizia giudiziaria operante su delega
 del p.m.;
   Ritenuto che l'indicata questione  di  legittimita'  costituzionale
 appare rilevante in quanto:
     la   contestazione   del   reato   di  favoreggiamento  personale
 all'imputato Mario Magrini ha ad oggetto (anche) le dichiarazioni  da
 questi  rese,  in  qualita' di persona informata sui fatti, in data 5
 settembre 1998, alla polizia giudiziaria che provvedeva ad  assumerne
 le  dichiarazioni su specifica delega del p.m. ai sensi dell'art. 370
 c.p.p.; era in particolare accaduto che il p.m. aveva fissato per  il
 giorno  5 settembre 1998 alle ore 10,30 la citazione davanti a se' di
 Mario Magrini nella veste di persona informata sui fatti (v. f. 157);
 per un disguido nella notifica dell'avviso, Mario Magrini non si  era
 presentato  all'ora  fissata  e cosi' il p.m., non potendo attendere,
 aveva redatto una delega scritta al personale della  S.M.  di  Milano
 "per  l'assunzione di informazioni" dal Magrini (v. missiva in data 5
 settembre 1998 a f. 158), disponendo nel contempo una nuova citazione
 dello stesso avanti a se' per il giorno  7  settembre  1998;  Magrini
 Mario  era  stato  cosi' sentito dalla polizia giudiziaria, su delega
 del  p.m.,  lo  stesso  giorno  5  settembre  1998  alle  ore  14,15;
 successivamente  egli  era stato sentito dal p.m. in data 7 settembre
 1998 ed aveva in quella sede tra l'altro confermato le  dichiarazioni
 rese  in  data  5  settembre  1998, ma il p.m., ravvisando profili di
 falsita' nelle dichiarazioni rese, dopo varie ammonizioni a  dire  la
 verita',  aveva  sospeso  l'esame,  avvisando  il  Magrini che doveva
 ritenersi indagato per il reato di false dichiarazioni al p.m. di cui
 all'art. 371-bis c.p.; successivamente sentito in  data  11  novembre
 1998,  in  qualita'  di  indagato  per  il  reato  di favoreggiamento
 personale  (trattasi  della  contestazione  riportata  nel  capo   di
 imputazione  indicato  in premessa), Mario Magrini aveva riferito dei
 fatti a sua conoscenza,  modificando  radicalmente  le  dichiarazioni
 rese  in precedenza alla polizia giudiziaria in data 5 settembre 1998
 ed al p.m. in data 7 settembre  1998,  riconoscendo,  in  conformita'
 alla  prospettiva  accusatoria,  la falsita' delle stesse e rivelando
 quanto a sua conoscenza in ordine ai fatti stessi;
     la    contestazione    all'imputato    Magrini   del   reato   di
 favoreggiamento personale, con riferimento  alle  dichiarazioni  rese
 alla  polizia  giudiziaria  in  data 5 settembre 1998 appare conforme
 all'interpretazione  dell'art.    378  c.p.  fornita  dalla  costante
 giurisprudenza,  che  come  e' ben noto ritiene il reato realizzabile
 mediante   tali   dichiarazioni,    stante    anche    la    pacifica
 inapplicabilita'  alle  stesse dell'art. 371-bis c.p. anche quando la
 polizia giudiziaria opera su delega del p.m.;  non  altrettanto  puo'
 dirsi con riferimento alla contestazione del reato di favoreggiamento
 personale  in  relazione  alle dichiarazioni rese da Mario Magrini al
 p.m. in data 7 settembre 1998,  poiche'  esse,  in  applicazione  dei
 principi  affermati dalla costante giurisprudenza in tema di rapporti
 tra l'analoga fattispecie prevista dall'art.  372 c.p. e il reato  di
 favoreggiamento     personale,     dovrebbero    essere    ricondotte
 esclusivamente alla previsione  dell'art.  371-bis,  c.p.    (con  la
 conseguente problematica della procedibilita' per tale reato ai sensi
 dell'art.  371-bis  co.  2  c.p.):  come  e'  noto  la giurisprudenza
 assolutamente  prevalente   afferma   infatti   che   se   le   false
 dichiarazioni  sono  rese alla A.G. con lo scopo di aiutare taluno ad
 eludere le indagini, ricorre solo il reato  di  falsa  testimonianza,
 che  assorbe  il reato di favoreggiamento astrattamente configurabile
 rispetto a quelle stesse dichiarazioni (v. v. tra le altre  Cass.  16
 dicembre 1983, imp. Tarantino, CED 162973, Giust. pen. 1984, III, 279
 e Cass.  13 dicembre 1982, imp. Schirripa, CED 158093);
     qualunque  sia  tuttavia  la  valutazione  da dare in ordine alla
 qualificazione  del  fatto  in  relazione  alle  dichiarazioni   rese
 dall'imputato  al p.m. in data 7 settembre 1998, resta ferma, in base
 ai principi affermati dalla costante giurisprudenza,  la  correttezza
 della  contestazione  relativamente  alla qualificazione giuridica ai
 sensi dell'art. 378 c.p., delle dichiarazioni rese da  Mario  Magrini
 alla  polizia  giudiziaria  in  data 5 settembre 1998 (non e' infatti
 accolta dalla giurisprudenza l'interpretazione proposta da autorevole
 dottrina  che  prospetta,  in  un  caso   come   quello   in   esame,
 l'assorbimento del reato di favoreggiamento personale, realizzato con
 le false dichiarazioni alla polizia giudiziaria, nel successivo reato
 di  false  dichiarazioni  al  p.m.,  che' anzi la giurisprudenza piu'
 recente pone semmai il problema della non punibilita' di tale secondo
 reato ai sensi dell'art. 384 comma 1 c.p.:  v.  Cass.    19  febbraio
 1997, imp. Anastasia, Cass. pen. 1998, 100), sicche' le dichiarazioni
 rese  dall'imputato  nell'interrogatorio  avanti  al  p.m. in data 11
 novembre  1998,  dichiarazioni   ammissive   della   falsita'   delle
 precedenti  e  rivelatrici  di  quanto  a  conoscenza  dell'imputato,
 potrebbero essere astrattamente ricondotte alla previsione  normativa
 della  ritrattazione  prevista  dall'art.  376  c.p.,  norma tuttavia
 inapplicabile  al  reato  di  cui  all'art.  378  c.p.,   stante   il
 riferimento  (in  termini pacificamente tassativi) dell'art. 376 c.p.
 ai soli reati di  cui  agli  artt.  371-bis,  372,  373  c.p.  (norme
 richiamate in termini pacificamente ritenuti tassativi);
     l'eccezione   di  incostituzionalita'  dell'art.  376  c.p.,  nei
 termini indicati in premessa, si presenta dunque rilevante  nel  caso
 di  specie, apparendo prospettabile l'estinzione del reato contestato
 all'imputato Mario Magrini, qualora l'art. 376 c.p. fosse applicabile
 al reato  di  favoreggiamento  personale  posto  in  essere  mediante
 dichiarazioni  false o reticenti alla polizia giudiziaria operante su
 specifica delega del p.m.;
   Ritenuto  che  l'indicata  questione di legittimita' costituzionale
 appare non manifestamente infondata in quanto:
     l'art. 376, comma 1 c.p. prevede la non punibilita' dei reati  di
 cui  agli  artt.  371-bis (False informazioni al pubblico ministero),
 372 (falsa testimonianza), 373 (falsa perizia o interpretazione),  se
 il  colpevole, nell'ambito del procedimento penale in cui ha commesso
 i reati stessi, ritratta il falso e manifesta il vero  non  oltre  la
 chiusura  del dibattimento; la causa di non punibilita' non e' invece
 prevista per il reato di favoreggiamento personale, qualora esso  sia
 realizzato  mediante  false  o  reticenti  dichiarazioni alla polizia
 giudiziaria, nemmeno quando essa operi su delega del p.m. (come  gia'
 accennato,   secondo   l'interpretazione  comunemente  accolta,  tali
 dichiarazioni non integrano gli estremi del  reato  di  cui  all'art.
 371-bis  c.p.    ostandovi il divieto di applicazione analogica della
 fattispecie incriminatrice, la quale richiede  che  le  dichiarazioni
 siano rese al p.m.);
     la  Corte  cost.  con sent. n. 228/1982 ha tra l'altro dichiarato
 non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
 376  c.p.  nella  parte in cui prevede l'esimente della ritrattazione
 solo per il reato di cui all'art. 372 c.p. e non anche per quello  di
 cui all'art. 378 c.p., sollevata in riferimento all'art. 3 Cost.;
     con  la  citata sentenza, la Corte ha escluso che l'art. 376 c.p.
 contrasti con il principio di eguaglianza di  cui  all'art.  3  Cost.
 sul  presupposto  della  diversa  oggettivita' giuridica dei reati di
 falsa  testimonianza  e  di  favoreggiamento  personale   (anche   se
 integrato, quest'ultimo, da false o reticenti dichiarazioni rese alla
 polizia  giudiziaria);  il reato di falsa testimonianza, ha osservato
 la Corte, genera il pericolo di una decisione fondata su  presupposti
 non  veritieri  e quindi lede l'interesse alla giusta definizione del
 processo principale, mentre il  reato  di  favoreggiamento  personale
 comporta  la  vanificazione, un rallentamento o comunque un intralcio
 all'opera   di   investigazione   dell'autorita';   suscettibile   di
 comportare   la   definitiva  frustrazione  del  fine  di  assicurare
 l'accertamento  e  la  repressione  dei  reati,  conseguentemente  la
 condotta di ritrattazione di cui all'art. 376 c.p., mentre e' idonea,
 se   intervenuta   in   tempo   utile,   ad  evitare  il  pregiudizio
 all'interesse tutelato dalla norma di cui all'art.   372 c.p.,  cioe'
 ad evitare una decisione fondata su presupposti non veritieri, non e'
 per contro idonea ad evitare la lesione dell'interesse tutelato dalla
 norma che incrimina il favoreggiamento personale, poiche' l'intralcio
 alle  investigazioni  della autorita' e' suscettivo di determinare la
 definitiva frustrazione del fine di assicurare  l'accertamento  e  la
 repressione  dei  reati (ha in particolare osservato la Corte che "il
 pregiudizio arrecato alla pretesa  punitiva  dello  Stato,  allorche'
 grazie alle false dichiarazioni rese dal favoreggiatore alla polizia,
 il reo si sia ad esempio sottratto all'arresto o alla cattura, non e'
 tale da poter essere in se' eliso da una resipiscenza che intervenga,
 in  ipotesi,  quando  egli  e'  ormai  lontano o non piu' altrettanto
 agevolmente reperibile"); il diverso atteggiarsi dell'idoneita' della
 ritrattazione  ad  evitare  la  definitiva   lesione   dell'interesse
 tutelato dalle due fattispecie giustifica dunque, secondo la sentenza
 in   esame,  la  non  estensione  della  ritrattazione  al  reato  di
 favoreggiamento personale;
     la  Corte cost. con ord. n. 50/1983 ha successivamente dichiarato
 la   manifesta   infondatezza   della   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  376  c.p.,  sollevata  in riferimento agli
 artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non estende  l'esimente  della
 ritrattazione  all'imputato  del  reato  di favoreggiamento personale
 commesso mediante dichiarazioni  mendaci  o  reticenti  alla  polizia
 giudiziaria: la Corte ha motivato la decisione osservando che analoga
 questione era gia' stata dichiarata non fondata con sent. n. 228/1982
 e  che non erano stati dedotti argomenti nuovi rispetto a quelli gia'
 in precedenza esaminati;
     la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  376  c.p.,
 in  relazione  all'art. 378 c.p., sollevata in riferimento agli artt.
 3 e 24 Cost. e' stata  recentemente  dichiarata  inammissibile  dalla
 Corte  cost.  con  ord.  n.  298/1998  poiche'  prova  del necessario
 carattere di rilevanza rispetto al giudizio principale;
     significativi  elementi  di  novita'  sembrano  giustificare   la
 riproposizione   della   questione   di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 376 c.p., in riferimento all'art. 3 Cost., sotto il profilo
 del rispetto del canone della razionalita' delle scelte  legislative,
 nella  parte  in  cui,  non estendendo l'applicabilita' dell'esimente
 della ritrattazione al reato di  favoreggiamento  personale  commesso
 mediante  false  dichiarazioni alla polizia giudiziaria, quando opera
 su delega del p.m., pone un'ingiustificata disparita' di  trattamento
 rispetto  alle  situazioni,  del  tutto assimilabili, in cui analoghe
 dichiarazioni, rese al p.m.,  integrano  il  reato  di  cui  all'art.
 371-bis  c.p., al quale si applica invece la causa di non punibilita'
 della ritrattazione;
     il primo elemento  di  novita'  e'  ravvisabile  nella  sent.  n.
 416/1996  della  Corte  cost.  che  sembra avere operato una profonda
 revisione dell'interpretazione dell'art. 378  c.p.  posta  alla  base
 della  citata  sent.  n.  228/1982: con detta sentenza n. 416/1996 la
 Corte ha infatti dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art.
 384, comma 2 c.p., "nella parte in cui non prevede l'esclusione della
 punibilita' per le  false  o  reticenti  informazioni  assunte  dalla
 polizia  giudiziaria,  fornite da chi avrebbe dovuto essere avvertito
 della facolta' di  astenersi  dal  renderle  a  norma  dell'art.  199
 c.p.p.";  dalla  motivazione della sentenza emerge inequivocabilmente
 che la Corte - lungi dal presupporre una responsabilita'  penale  per
 le  false  o  reticenti dichiarazioni alla polizia giudiziaria in se'
 considerate,   stante   la   pacifica   "inapplicabilita'   a   dette
 dichiarazioni  degli  artt.  371-bis e 372 c.p. - ha inteso riferirsi
 esclusivamente al  reato  di  favoreggiamento  personale,  realizzato
 mediante  dichiarazioni  false  o reticenti alla polizia giudiziaria:
 la dichiarazione di parziale illegittimita' costituzionale  e'  stata
 infatti  fondata  sull'argomento  che, pur a fronte dell'identita' di
 disciplina prevista dal c.p.p. per i soggetti indicati dall'art.  199
 c.p.p.,  qualunque  sia  l'autorita'  che   raccoglie   le   relative
 dichiarazioni  ed  il momento processuale in cui le stesse sono rese,
 esiste una ingiustificata disparita' di trattamento sul piano  penale
 sostanziale,  da  un  lato  delle  dichiarazioni  rese alla autorita'
 giudiziaria ed al pubblico ministero - alle quali  si  applicano  gli
 artt.  372  e  371-bis,  richiamati  dall'art.  384  comma 2 c.p. - e
 dall'altro delle dichiarazioni rese  alla  polizia  giudiziaria  che,
 concorrendo  gli  altri  requisiti  del  reato, possono integrare gli
 estremi del favoreggiamento personale  di  cui  all'art.  378,  norma
 questa  non  richiamata invece dall'art.   384 comma 2; per escludere
 l'esistenza di plausibili ragioni giustificative di  tale  diversita'
 di disciplina la Corte ha espressamente evidenziato:  "a) l'identita'
 di  condotte  materiali che possono risultare rilevanti nelle diverse
 ipotesi; b) l'omogeneita'  del  bene  protetto,  non  necessariamente
 identico  ma in ogni caso consistente nella funzionalita' di ciascuna
 fase rispetto agli scopi propri, nei quali le esigenze  investigative
 (massime  all'inizio  del prima fase del procedimento) e quelle della
 ricerca della verita' (massime alla fine  del  processo)  si  sommano
 intrinsecamente, cosicche' gli artt. 378, 371-bis, 372 c.p. finiscono
 in pratica per presidiare ciascuno una fase distinta del procedimento
 e  del  processo, restando simmetricamente esclusa - per predominante
 giurisprudenza - l'eventualita' che la  stessa  condotta  integri  la
 violazione  di  piu'  d'una  di  tali  norme,  secondo  lo schema del
 concorso formale di reati (art. 81 c.p.); c) l'identica rilevanza nel
 processo delle dichiarazioni  rese  alla  polizia  giudiziaria  e  al
 pubblico  ministero (art. 500 e 512 c.p.p.); d) la gravita' dei fatti
 di reato, quale risulta dagli apprezzamenti  del  legislatore  stesso
 circa la misura della pena prevista per l'illecito commesso di fronte
 alla polizia giudiziaria e per quello di fronte al pubblico ministero
 (la  reclusione  fino  a quattro anni, secondo rispettivamente l'art.
 378 comma 1 e l'art. 371-bis comma  1  c.p.)  -  misura  inferiore  a
 quella  prevista  dall'art.  372  c.p. per la falsa testimonianza (la
 reclusione da due a sei anni)";
     la citata sentenza  fonda  dunque  l'affermazione  del  contrasto
 dell'art.  384,  comma  2  c.p.,  con  l'art. 3 Cost. sul presupposto
 dell'omogeneita', sul piano dell'oggettivita' giuridica, del reato di
 cui all'art.    378  -  se  realizzato  mediante  false  o  reticenti
 dichiarazioni  alla polizia giudiziaria - e del reato di cui all'art.
 371-bis  c.p.  (tanto  che,  malgrado  l'ampia  formula   usata   nel
 dispositivo,  non  sembra  che  la  sentenza  possa riferirsi a reati
 diversi dal favoreggiamento personale:  si pensi ad esempio al  reato
 di  calunnia), con cio' prendendo atto del ruolo che l'art. 378 c.p.,
 ha assunto, secondo una giurisprudenza  ormai  consolidata  (pur  non
 immune   da   radicali   critiche   in  sede  dottrinaria)  di  norma
 sanzionatoria delle false  o  reticenti  dichiarazioni  alla  polizia
 giudiziaria,  sul  modello descrittivo del fatto previsto dagli artt.
 371-bis e 372 c.p.; l'art. 378 c.p., per l'ampiezza della fattispecie
 incriminatrice, tipizzante un reato  di  pura  condotta  ed  a  forma
 libera,  e'  visto  dunque  come  norma  che,  concorrendo  gli altri
 elementi previsti dalla fattispecie  (in  pratica  la  finalizzazione
 soggettiva  della  condotta  all'aiuto  all'elusione delle indagini),
 finisce con il tutelare un interesse profondamente  simile  a  quello
 tutelato  dall'art.  371-bis tanto che non a caso la Corte sottolinea
 la identita'  di  disciplina  esistente  tra  le  dichiarazioni  alla
 polizia   giudiziaria   e   al  p.m.     che  giustifica  (e  impone)
 un'omogeneita' di disciplina  di  diritto  penale  sostanziale  delle
 falsita'  in  tali dichiarazioni, tanto piu', si potrebbe aggiungere,
 nei casi in cui (come accade normalmente stante l'attuale  disciplina
 dei rapporti tra polizia giudiziaria e p.m. nella fase delle indagini
 preliminari)   la   polizia   giudiziaria   procede  ad  assumere  le
 dichiarazioni delle persone informate sui fatti  su  espressa  delega
 del p.m. ai sensi dell'art. 370 c.p.p.;
     le argomentazioni contenute nella sent. n. 416/1996 costituiscono
 dunque un superamento della diversa impostazione contenuta nella sent
 n.  228/1982, nella quale, per giustificare l'affermata insussistenza
 di  una  disparita'  di   trattamento   nell'inapplicabilita'   della
 ritrattazione   al  reato  di  favoreggiamento  personale  realizzato
 mediante false o reticenti dichiarazioni alla polizia giudiziaria, la
 Corte aveva invece evidenziato con forza la disomogeneita'  del  bene
 giuridico  tutelato  dall'art.  378  c.p., rispetto al bene giuridico
 tutelato  dall'art.  372  c.p.  (all'epoca  non  era   stato   ancora
 introdotto l'art.  371-bis c.p.);
     altri  elementi  di  novita'  che  giustificano la riproposizione
 della questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  376  c.p.
 nei termini sopra indicati sono costituiti dall'entrata in vigore del
 nuovo   c.p.p.   del  1988  e  dalla  successiva  introduzione  della
 fattispecie di cui all'art.  371-bis  c.p.  ad  opera  dell'art.  11,
 decreto-legge  8  giugno  1992,  n. 306 (conv. con mod. dalla legge 7
 agosto 1992 n.  356): pur accentuando la distinzione  tra  la  figura
 del  giudice  e  la  figura  del  p.m., dal quale ultimo strettamente
 dipende l'attivita'  della  polizia  giudiziaria  (con  equiparazione
 della  disciplina  delle  dichiarazioni  rese al p.m. ed alla polizia
 giudiziaria,  come  osservato  dalla  Corte  cost.  nella  sent.   n.
 416/1996),  il  legislatore  ha predisposto uno specifico ed organico
 sistema di tutela (imperniato  sugli  artt.    371-bis  e  372  c.p.;
 sull'istituto  della  ritrattazione riferibile a tali reati, e, prima
 citata sent.  della  Corte  cost.  n.  416/1982,  sull'applicabilita'
 dell'art.  384,  comma  2  c.p.,  solo a tali reati), basato non gia'
 sulla distinzione tra dichiarazioni rese all'autorita' giudiziaria  e
 dichiarazioni  rese  a  soggetti  diversi  operanti  nella fase delle
 indagini  preliminari  (p.m.  e  polizia   giudiziaria),   ma   sulla
 sostanziale  assimilazione  della  dichiarazioni  rese  all'autorita'
 giudiziaria ed al p.m. da un lato e dichiarazioni rese  alla  polizia
 giudiziaria  dall'altro;  ne  e' derivato che, stante la riconosciuta
 funzione  dell'art.  378   -   quanto   meno   secondo   il   diritto
 giurisprudenziale  vivente  -  quale  strumento  di tutela avverso le
 false dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria, esso ha finito per
 operare, nella stessa fase processuale, accanto all'art. 371-bis c.p.
 (riferibile alle sole dichiarazioni rese al p.m.), ingenerando sempre
 piu'  spesso  casi  di   diversita'   di   disciplina   assolutamente
 inaccettabili,  perche'  dipendenti  da  fattori  del  tutto casuali,
 quanto meno nell'ipotesi in  cui  la  polizia  giudiziaria  opera  su
 delega del p.m. (e non va dimenticato che la citata sent. n. 416/1982
 e'  motivata  proprio dal riconoscimento del carattere ingiustificato
 di questa diversita' di disciplina di situazioni omogenee);
     se dunque, in ossequio all'orientamento interpretativo dominante,
 si tiene fermo il presupposto che comportamenti consistenti in  false
 o  reticenti dichiarazioni (rese, come normalmente accade, al fine di
 favorire l'indagato), possono integrare  il  reato  di  cui  all'art.
 371-bis,  se  rese al p.m., ovvero il reato di cui all'art. 378 c.p.,
 se  rese  alla  polizia  giudiziaria   (stante   l'ampia   accezione,
 comunemente  accolta,  del  termine e "aiuta a eludere le indagini"),
 appare prospettabile la violazione del principio  di  eguaglianza  di
 cui  all'art.  3  Cost.    nel  sistema  delineato  dal  legislatore,
 imperniato su una diversita' di  disciplina  (per  quanto  rileva  in
 questa  sede: il diverso ambito di applicabilita' dell'istituto della
 ritrattazione)   priva   di    razionali    giustificazioni    stante
 l'omogeneita'  delle condotte penalmente rilevanti ai sensi dell'art.
 371-bis da un lato e dell'art. 378 c.p. dall'altro;
     la limitazione della dedotta questione  di  costituzionalita'  ai
 soli casi in cui la polizia giudiziaria opera su specifica delega del
 p.m.   ai   sensi  dell'art.  370  c.p.p.,  permettere  di  mantenere
 un'omogeneita' sul piano sostanziale e formale delle sottofattispecie
 dell'art.  378 c.p. (in relazione all'art. 376 c.p.)  alle  quali  si
 riferisce  la  questione  stessa,  riferendola  nel  contempo  a casi
 pienamente assimilabili,  sotto  il  profilo  sostanziale,  a  quelli
 rientranti nella previsione dell'art. 371-bis: le false dichiarazioni
 alla   polizia   giudiziaria   che   opera  su  delega  del  p.m.  si
 differenziano dagli  analoghi  comportamenti  riconducibili  all'art.
 371-bis  c.p. per un dato meramente formale, tanto che se il soggetto
 che ha reso false dichiarazioni alla polizia giudiziaria avesse  reso
 quelle   stesse  dichiarazioni  al  p.m.  delegante,  avrebbe  potuto
 beneficiare,  nel  caso  di  ritrattazione,  della   causa   di   non
 punibilita' prevista dall'art. 376 c.p.;
   Ritenuto  che  ai  sensi  dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87,
 deve essere dichiarata la sospensione del procedimento nei  confronti
 di Mario Magrini;